Cultura

Francesca Marchesani torna in libreria con Pensavo fosse nonna invece era una pusher

Dopo “Dio salvi la vagina”, Francesca Marchesani torna in libreria per raccontare un’altra storia, quella di Adele, nel romanzo “Pensavo fosse nonna invece era una pusher”.

Classe 1991, Francesca è entrata nel mondo dell’editoria nel 2015 e quello pubblicato quest’anno coincide con il suo terzo romanzo.

Francesca, che ha sempre voluto essere una scrittrice, ha dapprima pubblicato “Diario di una cameriera superstar”, dopodiché nel 2018 è stata la volta di “Dio salvi la vagina” e infine quest’anno è tornata con una nuova storia con un personaggio molto particolare.

Di cosa parla Pensavo fosse nonna invece era una pusher? Il romanzo racconta di Adele, una donna anziana che, rimasta vedova, non avverte più grandi stimoli dalla vita. Così decide di reinventarsi e inizia a commettere svariati crimini per farsi arrestare.

La storia di Adele s’intreccia con quella di Serena, una ragazza in fuga da una storia d’amore difficile e con un debole per le facili scappatoie (sesso occasionale, droga e alcool). Le due donne, seppur così diverse, si ritrovano a vivere nello stesso condominio: tra di loro, un gatto.

Francesca Marchesani spiega da dov’è nata l’idea per questo terzo romanzo. “Vivo da sola e ho sempre pensato: “Ma se mi succedesse improvvisamente qualcosa, chi lo vorrebbe a scoprire?” Ed è un pensiero strano per una neanche trentenne. Ho esteso quindi questo concetto a una signora di una certa età, senza figli, senza nipoti, senza nessuno al mondo. Da una parte abbastanza deprimente, dall’altra hai la possibilità di comportarti come un pittore davanti a una tela completamente bianca”.

Del suo personaggio principale, l’autrice ha scritto: “Adele è una vecchietta stranamente arzilla, ha solo bisogno di una scintilla che accenda la sua miccia. E quella fiamma necessaria andrà ad abitare proprio accanto a lei dando inizio a una strampalata quanto azzeccata amicizia”.

Pensavo fosse nonna invece era una pusher, l’estratto:

Ci sono ferite che non sai di avere finché qualcuno non comincia a curartele.

Avendo chiesto i soldi ad Adele, con la promessa che a breve lei glieli darà volentieri – deve aspettare il primo del mese per ritirare la pensione –, Serena è un po’ più tranquilla e si sta godendo la settimana di ferie assieme a Paolo, pure lui abbastanza sconvolto e totalmente bisognoso di rilassarsi.

Si svegliano, fanno colazione a letto, poi fanno l’amore, guardano qualche film, escono a mangiare qualcosa, si beccano con gli altri colleghi ma alla fine lui torna sempre nel suo letto.

È strano, perché è una cosa nuova ma non è pesante, forzata o sofferta. Sembra una cosa così naturale, lo stare insieme. Lei poggia la testa sulle sue gambe e sono in pace col mondo. A volte non c’è bisogno di dire nulla. E non si sente il bisogno di riempire il vuoto nell’aria con fiumi di parole.

Il momento che preferisce è proprio quello che prima odiava così tanto. La notte. Quando dormiamo siamo vulnerabili. Siamo inermi. Siamo indifesi perché crolla tutto, tutte le maschere, tutti i muri, tutti gli scudi. Dormire insieme a qualcuno è un gesto di enorme fiducia. Non si può fare con chiunque. È come dire “mi fido di te, so che non mi ammazzerai nella notte, guarda, ti do anche le spalle”. Mi volto e ti faccio vedere solo la schiena, scegli tu se piantare un coltello in mezzo alle scapole o allargare le braccia e circondarmi tutta, quasi fino ai piedi. In entrambi i casi rimarranno soltanto cicatrici.

Poi gli dai le spalle e non te lo aspetti, ti si avvinghia contro come l’edera sul muro. E quando ti allontani di un centimetro, per il caldo magari, lo vedi che allunga una mano, solo due dita che si sfiorano. Sono qui, non sono andata da nessuna parte. E possiamo anche essere l’omone più grande e grosso del mondo, ma quando poi chiudiamo gli occhi e ci riduciamo allo stato larvale siamo tutti uguali. Forse anche un po’ più nudi, un po’ più fragili, un po’ più umili, un po’ migliori? Quando si spegne la luce abbiamo il coraggio di dire cose che neanche potremmo pensare di giorno. Ma non deve per forza essere buio fuori per fare buio dentro, a volte basta solo chiudere gli occhi.

Pensavo fosse nonna invece era una pusher è un romanzo edito da Scatole parlanti, collana Voci.