Studi in un’area periferica tra fabbriche e palazzi dismessi
PORTO MARGHERA – Studi d’artisti e architetti, “cellule” di rigenerazione culturale e produttiva, di possibile aiuto a una rinascita sociale tra spazi periferici post industriali di Porto Marghera, che continuano a tenere la posizione, a offrire la speranza che, a margine di un’area punteggiata dalle ciminiere, si realizzi il sogno di un “distretto delle arti”.
Via della Pila corre quasi parallela ai binari della ferrovia, dall’altra parte del cavalcavia si intravvedono le nuove strutture alberghiere vicino alla stazione di Mestre pronte ad accogliere migliaia di persone, le fermate degli autobus urbani non sono vicine, ma è qui che da anni, quasi come un avamposto di “frontiera”, c’è al numero 40 un segno forte della presenza dell’arte e del design. Altri sono poco lontano, in Banchina Molini e Banchina dell’Azoto. “Esperienze come queste sono una chance importante – dice Gianfranco Bettin, presidente della locale Municipalità – in una realtà complessa come Marghera. Sul piano strutturale sono in corso importanti interventi di riconversione industriale, con punti di vera eccellenza. Sul piano amministrativo-istituzionale si opera da anni. Ad esempio, al Vega, c’è la presenza dell’Università e degli enti pubblici. Grandi trasformazioni sono in corso e anche le più diverse presenze, come quelle legate a studi d’arte e professionali o a punti di ritrovo, sono utili”.
“Pila 40” è uno di questi esempi che fanno storia. In tre grandi edifici di cemento e vetro, attorno a un cortile, negli anni ’20 adibiti a stalla per cavalli da trasporto e poi trasformati in rimessa per macchine per uso civile e industriale, negli anni hanno trovato posto studi di artisti, di curatori, di architetti. Un cambio di destinazione d’uso agevolato dalla proprietà, i fratelli Pasqualetto, che hanno riconvertito gli spazi, aprendo la strada alla formazione di quello che, tra gli addetti ai lavori, viene considerato un contenitore di creatività.
Per “Pila 40” pioniere è stato Luca Massimo Barbero, con la sua vasta biblioteca d’arte, prima di trasferirla in un edificio poco lontano in Banchina dell’Azoto. “Qui c’è uno spazio creativo – dice – che Venezia non può più permettersi, ma c’è un problema di trasporti pubblici. Il creativo non è un alieno, ha bisogno di mostrare il suo lavoro, di avere presenze in studio.
E’ un banale problema di collegamenti pubblici. Non c’è vitalità se non c’è modo di raggiungere un luogo”. Barbero spera che il progetto di una piscina diventi realtà, “per portare le famiglie”. Intanto, in Banchina Molini ci sono artisti alle loro prime esperienze, come Luca Marignoni o Federico Borroni, in Banchina dell’Azoto, ha studio Luca Nichetto, in via Pila artisti come Francesco Candeloro, in partenza per partecipare con i suoi lavori fatti di carta, luce, colore e trasparenze, a una mostra a Tokio. “Qui – dice – c’è lo spazio perfetto per il mio lavoro. Qui ognuno di noi, sia artista o architetto, si costruisce lo spazio sulla base delle proprie esigenze”. Un montacarichi collega i vari piani dell’edificio, all’esterno ci sono le scale che immettono su lunghi corridoi che portano agli studi. Un’area immersa in un contesto o un’oasi nel deserto? Fuori non ci sono bar vicini, ci sono attività meccaniche e manifatturiere. “Siamo in una zona periferica di Marghera – spiega Candeloro – e le fabbriche sono vicine. Si sente la presenza di una storia fatta di fatica, di lotte, anche di morte. E’ ancora un’area, questa, dove i segni del degrado esistono, ma è indubbio che Pila 40 può aiutare un cambiamento, può essere un punto di rigenerazione”. “Storicamente – fanno eco dallo studio di grafica e design Zaven, con un filo di speranza che non si è persa nel tempo e supera idealmente i problemi ancora presenti in quest’angolo periferico di Porto Marghera – la presenza di studi trasforma gli spazi degradati”.