Cultura

Classico, i migliori licei milanesi: la parola-chiave è «potenziamento»

Il Berchet è in un palazzo del 1911, il Carducci in un edificio moderno tutto vetri e cemento. E anche i loro presidi sono diversissimi, per stile e visione. Con una certezza comune: «La cultura che rimane per tutta la vita s’impara da noi»

Studenti all’ingresso del Liceo Berchet: l’istituto di Porta Romana è dedicato al poeta milanese simbolo del Romanticismo (foto Rocco Rorandelli)

Si trovano a pochi chilometri di distanza, una ventina di minuti di metropolitana, eppure quei due licei classici sono quanto di più remoto l’uno dall’altro si possa immaginare a Milano. Il Liceo Berchet si trova nel cuore del centro, zona Porta Romana, ed è un liceo storico, fieramente datato 1911: vi si entra con un certo batticuore di deferenza, che si scioglie se coincide con la ricreazione allegra e per nulla ovattata. Viene naturale chiedersi se Luchino Visconti, Oreste Del Buono, Andrea De Carlo abbiano vissuto, da allievi, lo stesso sbalzo emotivo che coglie il visitatore occasionale. Sbalzo che aumenta venendo a sapere che se don Milani ci ha studiato, don Giussani ci ha insegnato. Il Carducci è l’opposto: non incute alcuna soggezione, è un edificio moderno, vetri, cemento, murales e strutture metalliche, nessuna solennità. E anche i due presidi, anzi i due dirigenti scolastici, sono diversi, per carattere e forse anche per visione.

Dal tribunale alla scuola

Il primo, Domenico Guglielmo, è un signore pacato, un siciliano quasi sessantenne e di poche parole, laureato in Scienze politiche e per anni funzionario in Corte d’Appello, seduto in uno studio con Tricolore e librerie ponderose. «L’insegnamento per me è sempre stato un richiamo troppo forte, dunque ho lasciato il tribunale e per 22 anni sono stato professore di Diritto ed Economia». Preside da cinque anni. Che cosa rimane del classico-classico, quello dei tempi andati? La risposta è sorprendente: tutto, o quasi, a parte il bagaglio del latino obbligatorio che ci si portava dalle medie. E qualcosa si aggiunge: la lingua straniera, i potenziamenti. «Il valore formativo del liceo classico è sempre più riconosciuto e le iscrizioni aumentano». La crescita negli ultimi 3-4 anni è visibile: 250 iscrizioni al primo anno. A cosa si deve l’incremento? «L’importanza del classico è stata ribadita da tanti libri sul latino e sul greco ed è migliorata anche la comunicazione: la Notte Nazionale del Liceo Classico, partita da Acireale, ha un’adesione di oltre 400 istituti». 433 per l’esattezza e la sesta edizione si terrà il 17 gennaio 2020 con maratone di lettura, spettacoli teatrali, mostre, concerti, cinema, incontri con scrittori, degustazioni ispirate al mondo antico. Una bisboccia di cultura greco-romana. E dopo?

All’università solo il 15% sceglie Lettere

Come spiegare a un padre e a una madre l’utilità del liceo classico? «È una palestra di ginnastica mentale. Dà una cultura ampia che non c’è tempo di acquisire dopo, è un’occasione che non si ripresenterà. Bisogna ricordare che solo il 15 per cento dei nostri alunni va a frequentare Lettere, gli altri seguono con successo tutte le facoltà, Medicina, Ingegneria, Matematica, Fisica, Economia, Diritto…». In effetti il liceo classico non è più arroccato nel pensiero fisso dell’aoristo, delle declinazioni, dell’antichità e del mito. La parola chiave è «potenziamento».

Il Berchet, per esempio, dispone di un’«offerta formativa» al passo coi tempi in comunicazione informatica con patente europea, matematica, inglese (l’IGCSE è il certificato dell’Università di Cambridge). Guglielmo parla di «tradizione del rinnovamento», e ricorda che l’impegno viene con il piacere e l’entusiasmo: «Solo così le conoscenze saranno durature». I classici sono in genere scuole di arrivo per i prof: un approdo della carriera. Media d’età circa 50 anni. Qui al Berchet sono circa 65 per 850 studenti, i precari non più di 6 o 7. Siamo nell’élite? «Siamo in una scuola in cui si iscrivono ragazzi molto motivati». Pochissimi gli stranieri, anzi zero o quasi.

Un istituto tosto ma “popolare”

Non così al Liceo Carducci, nato nel 1932, nella zona nord-est per raccogliere fasce sociali diverse, provenienti anche dall’hinterland. Oggi ama definirsi una scuola “popolare”, pur conservando la tradizione “alta” del classico-classico in cui hanno studiato Craxi, Martelli e Umberto Veronesi: «Un liceo tosto ma gagliardo», sorride il preside Andrea Di Mario, esibendo il suo accento romanesco. È un tipo nervoso, il dirigente del Carducci, gli piace parlare camminando avanti e indietro, jeans e T-shirt con sopra stampato il volto di Bud Spencer. La sua stanza è lo specchio dei suoi pensieri in ebollizione e forse del liceo che vorrebbe: una specie di laboratorio perpetuo, con manifesti al pavimento e alla parete un enorme graffito studentesco. Di Mario elenca i caratteri che distinguono il suo istituto, riassumibili in almeno cinque punti essenziali:

1. È un liceo duro non perché selettivo, ma perché rigoroso»;
2. È una roccaforte della storia antifascista e ricorda che il professore-partigiano Quintino Di Vona (grande classicista) fu fucilato nel 1944 dalle camicie nere e che lo studente Ezio Capitano fu deportato e morì a Mauthausen;
3. È un liceo periferico nato per la media borghesia che si inurbava, per questo il 40 per cento degli studenti viene da fuori Milano;
4. La Buona Scuola, con cui Di Mario è arrivato qui nel 2015, gli ha permesso di utilizzare in modo creativo le risorse del potenziamento (rieccolo là il potenziamento!): qui si parla di percorsi complementari alle discipline e di scuola aperta;
5. Gli studenti hanno proposto una commissione paritetica con i docenti in cui si discute anche di didattica e valutazione.

«La responsabilità di recuperare chi non ce la fa»

Il principio che lo ispira è: «La scuola deve avere la forza e la responsabilità di recuperare chi non ce la fa, anche il liceo classico, che è l’attico della scuola italiana». Troppe forze però si oppongono al cambiamento. La prima è la mancanza di coraggio: e a quello che chiama «il guscio chiuso delle discipline» preferisce un insegnamento trasversale, come il teatro nelle ore di italiano o inglese. Due prof — che chiama «le mie don Milani» e che fanno parte del suo staff — insegnano latino e greco: sono Elisa Mascellani e Daniela Canavero.

Immigrati di seconda generazione in crescita

«Gli immigrati sono in aumento, sul 4-5%, naturalmente si tratta di ragazzi di seconda generazione nati in Italia», dice Mascellani. «Ancora troppo pochi», commenta il preside, «bisogna liberarsi dall’elitarismo che ci imprigiona». Aggiunge Canavero: «Ci tocca fare anche da servizio di orientamento, perché siamo vicini al bacino di via Padova, forse il più multiculturale di Milano». A volte, prosegue, arrivano qui famiglie di ragazzini cinesi o africani senza sapere che cos’è il liceo classico: «Vorrebbero iscriversi solo perché abitano vicino a casa… Dunque, bisogna orientarli diversamente. L’altro giorno è arrivata un’intera famiglia di senegalesi che non poteva permettersi di pagare l’abbonamento dei mezzi pubblici». L’orgoglio è Zheng Rong Rong, la ragazza cinese di III A che in maggio ha vinto il certamen interno di inglese: «Per noi i giovani immigrati sono una risorsa, come la ragazza egiziana di Gorgonzola che si è maturata l’anno scorso, o la bravissima ragazza albanese i cui genitori non parlano l’italiano… Qui ci vuole voglia e energia, e l’idea che un cinese o un’egiziana entrino nella nostra tradizione del classico è affascinante».