Il rapporto tra gli americani e il sesso non è mai stato dei più sereni, nonostante l’apparente apertura sovente sbandierata. Gli Stati Uniti sono «un Paese estremamente puritano», racconta lo scrittore Bret Easton Ellis a Vanity Fair: i suoi abitanti «sono imbarazzati dal sesso e lo vivono in maniera profondamente conflittuale, a prescindere da quanto porno guardino, o da quanto spesso si facciano selfie erotici».
Certo, gran parte del problema deriva dal semplice parlarne e dalla propensione all’ascolto, al punto che, secondo qualcuno, «quando si tratta di sesso, i quindici centimetri più importanti sono quelli tra le orecchie». Quel qualcuno è Dr. Ruth Westheimer, conosciuta ormai al di là dell’oceano soltanto come Dr. Ruth, un’arzilla dottoressa ebrea 91enne che da quasi quarant’anni – attraverso i suoi famosissimi talk show – insegna agli americani come fare sesso e non averne paura, parlando senza pregiudizi e affrontando argomenti impegnativi con un linguaggio medico eppure accessibile, spiegando agli ascoltatori i passaggi fisici, psicologici ed emotivi che l’attività sessuale va a toccare.
Dr. Ruth oggi non è solo un’icona culturale, ma anche una delle autorità più riconosciute al mondo in materia di sesso, e la sua ‘cinematografica’, affascinante e avvincente storia è diventata un documentario uscito su Hulu lo scorso giugno – Ask Dr. Ruth –, che ne ripercorre le tappe principali nel tentativo di illustrarne il successo.
Nata il 4 giugno 1928 a Wiesenfeld, in Germania, Karola Ruth Siegel è una bambina curiosa, che ama arrampicarsi sulla libreria dei genitori e sfogliare libri non proprio adatti alla sua età, come The Ideal Marriage: Its Physiology and Technique, scritto dal medico olandese Theodoor H. van de Velde. Scritto nel 1923, il volume presentava disegni dettagliati di posizioni sessuali, poiché van de Velde partiva dal presupposto che «il sesso è il fondamento del matrimonio. Tuttavia la maggior parte delle persone sposate non conosce l’ABC del sesso. Il mio compito qui è di dissipare questa ignoranza e mostrare modi e mezzi per raggiungere sia il vigore che l’armonia nelle relazioni sessuali monogame». È la prima volta che Siegel pensa al sesso, ha dieci anni e ancora non sa che qualche mese più tardi le SS avrebbero sequestrato suo padre per trasferirlo in un campo di concentramento. L’ultima notizia che ha del padre risale allo scoppio della guerra, quando lui le manda una cartolina dicendole di unirsi a un gruppo di bambini ebrei ortodossi che sarebbero stati trasportati a Heiden, in Svizzera. La madre e la nonna la portano alla stazione ferroviaria e l’abbracciano mentre sale a bordo: Karola non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia, morta durante l’Olocausto ad Auschwitz.
In Svizzera comincia a farsi chiamare col suo secondo nome, Ruth, ed è obbligata a fare i conti con parecchie difficoltà: nella scuola – trasformata in un orfanotrofio per ragazze ebree rifugiate – viene trattata come una cittadina di seconda classe e lavora come domestica per le ragazze ebree svizzere; in più, causa non poche preoccupazioni agli insegnanti per via della sua natura loquace e della volontà di condividere le sue conoscenze su argomenti tabù, come le mestruazioni, con le altre studentesse.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la 17enne Siegel lascia la Svizzera per Israele e successivamente per la Palestina mandataria britannica: lì diventa sionista e si unisce alla Haganah, un’organizzazione paramilitare ebraica, dove – per via della sua statura di nemmeno un metro e mezzo – viene addestrata come cecchino. Di tale esperienza in seguito confesserà «non ho mai ucciso nessuno, ma so come lanciare bombe a mano e sparare».
Nel 1948, nel corso della prima guerra arabo-israeliana, viene gravemente ferita, e trascorre molto tempo in ospedale incapace di camminare. Sarà proprio questo episodio a convincerla a spostarsi nel campo accademico, considerato meno pericoloso, e a trasferirsi in Francia nel 1950: sposa un soldato israeliano, studia psicologia alla Sorbona di Parigi, nel 1955 divorzia e l’anno successivo parte – incinta del suo nuovo fidanzato francese – per New York, città in cui l’attende una borsa di studio per la New School for Social Research. Una volta nella Grande Mela, Siegel dà alla luce una bambina, Miriam, e divorzia dal francese che aveva sposato per legalizzare la gravidanza: dal fallimento del matrimonio numero due impara che non avere una vita sessuale soddisfacente può costituire un problema, ma la noia intellettuale è insormontabile. Lavora come domestica per sostenere la figlia mentre frequenta le lezioni presso la New School e nel 1959 si laurea con un master in sociologia, per poi accettare un impiego come assistente di ricerca presso la Columbia University.
Nel 1961 incontra e s’innamora di Manfred Westheimer, anch’egli rifugiato ebreo, che sarà per sempre il grande amore della sua vita: nove mesi dopo il colpo di fulmine si sposano, e Ruth Westheimer diventa cittadina americana, nonché madre di Joel. Negli anni ’60 collabora con Planned Parenthood, un’organizzazione di cliniche non profit che forniscono alle donne servizi sanitari come interruzioni di gravidanza, educazione sessuale, pianificazione familiare, controllo ormonale. Si fa un nome, Westheimer, perché parla in maniera schietta e sincera, e non ha paura di affrontare argomenti dalla maggioranza ritenuti ‘scomodi’: «ho seguito 2mila donne in uno studio contraccettivo e abortivo, poi ho usato quei dati per la mia tesi di dottorato. È stato un match perfetto: il mio interesse per le questioni legate alla sessualità è arrivato dal lavoro in Planned Parenthood».
Nel frattempo consegue un dottorato in consulenza familiare e sessuale alla Columbia University, diventa professore associato di consulenza sessuale al Lehman College nel Bronx e continua le proprie ricerche in ambito sessuale al Cornell Medical Center in qualità di ‘discepola’ di Helen Singer Kaplan, la terapista austriaco-americana fondatrice della prima clinica per i disturbi sessuali.
Nel 1980, la svolta. La produttrice della stazione radio di New York WYNY-FM, Betty Elam Brauner, era alla ricerca di un ospite per uno dei suoi programmi: chiede al Cornell Medical Center se uno dei loro dottori è disponibile a parlare della necessità di un’educazione sessuale pubblica per dissipare l’ipocrisia su questioni come la contraccezione e le gravidanze indesiderate, ma nessuno raccoglie l’invito perché l’intervento non è retribuito. Solo Ruth Westheimer si offre volontaria. «Betty tornò di corsa alla stazione radio e disse: ‘Non crederai a questa donna che ho incontrato oggi’, racconta il direttore della WYNY, Maurice Tunick, nel documentario. «’È alta così. Ha un forte accento tedesco. Parla di sesso in un modo in cui non ho mai sentito parlare nessuno oggi. E penso che dovremmo fare qualcosa con lei’».
Il discorso di Westheimer impressiona a tal punto i vertici della WYNY, che Betty Elam le offre 25 dollari a settimana per realizzare Sexually Speaking, uno spettacolo di 15 minuti che sarebbe andato in onda ogni domenica poco dopo mezzanotte.
Il programma ottiene un successo immediato, e presto Westheimer può contare su un fedele seguito. I produttori estendono la sua fascia oraria a un’ora e aprono le linee telefoniche per consentire al pubblico di porre domande personali in onda: dato che le persone facevano fatica a pronunciare il suo cognome, spesso la chiamavano Dr. Ruth. E da lì è nata una stella. Nell’estate del 1983, Sexually Speaking attirava più di 250mila ascoltatori ogni settimana, e ciò veicola un chiaro messaggio: l’America aveva un disperato bisogno di Dr. Ruth. Bisogno che viene assecondato nel 1984, quando lo show passa sulla rete nazionale NBC e cambia nome in Dr. Ruth Show.
Il segreto della popolarità di Westheimer risiede sia nella sua voce unica, descritta dal New York Times come «un misto tra Henry Kissinger e Minnie», che nella capacità di fare una valida divulgazione scientifica in chiave comica, poiché, come lei stessa osserva, «il Talmud sostiene che una lezione insegnata con umorismo viene ricordata meglio». Se i fan adoravano – e adorano tuttora – il suo approccio franco e non giudicante alle loro domande intime, i critici conservatori trovavano minacciosa e irresponsabile la sua difesa della contraccezione e dell’apertura sessuale: lei però non si è mai scomposta, insistendo sul fatto che stava fornendo un servizio educativo necessario ai suoi ascoltatori e proseguendo imperterrita a costruire il suo brand.
Negli anni ’80 e ’90 estende la sua influenza ai giornali, con una rubrica fissa su Playgirl; ai programmi televisivi, con Good Sex with Dr. Ruth Westheimer e What’s Up, Dr. Ruth?, entrambi andati in onda su Lifetime; ai libri, con la pubblicazione di diversi titoli (46 in tutto) come Dr. Ruth’s Guide to Good Sex, Sex For Dummies e la sua autobiografia, All in a Lifetime; agli spettacoli teatrali, con la commedia Off Broadway sulla sua vita, Becoming Dr. Ruth; alle ospitate nei late show, da Johnny Carson a David Letterman fino a Seth Meyers e Conan O’Brien; ai giochi di società; fino ad arrivare al documentario di Hulu presentato al Sundance Festival.
Nel corso degli anni, la guru del sesso ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui un dottorato ad honorem presso il Trinity College; la Medal for Distinguished Service presso il Teacher’s College della Columbia University; la 13esima posizione nella classifica di Playboy (stilata in occasione del 55esimo anniversario della rivista) delle 55 persone più influenti in ambito sessuale negli ultimi 55 anni. Secondo Celebrity Net Worth, il valore di Dr. Ruth si aggirerebbe intorno ai 3 milioni di dollari, ma la signora non pare ancora intenzionata a fermarsi: mantiene i suoi programmi di insegnamento presso le università Hunter e Columbia a New York, la sua rubrica per il Time, ha un libro per bambini in arrivo e una nuova edizione della guida bestseller, Sex for Dummies , che includerà capitoli di discussione sui Millennial e il problema metastatizzante della solitudine.
Da sempre Westheimer si è battuta contro il concetto di ‘normalità’: non esiste qualcosa di ‘normale’, in quanto tutto lo è, purché coinvolga due adulti consenzienti nella privacy della propria casa. Inoltre, non disapprova la pornografia, come spiega al Times of Israel: «il pubblico deve usare il proprio giudizio e sapere che in qualsiasi film sessualmente esplicito, i genitali che vengono mostrati – come dovrei dirlo? – beh, nessuna persona comune è dotata in questo modo. Non sto dicendo che non si dovrebbe guardare materiale esplicitamente sessuale, anzi: è possibile imparare qualcosa, senza però prenderlo come un assoluto in termini di ricerca».
Se l’approccio al sesso di Dr. Ruth è ormai mainstream, l’ansia generatasi attorno ad argomenti come il desiderio sessuale e il consenso minaccia di metterla in contrasto con gli stessi che un tempo accolsero favorevolmente la sua tesi positiva sul sesso: «quest’idea che, una volta che sei eccitato e hai già iniziato, dovresti chiedere: ‘Posso toccare il seno sinistro o il seno destro?’ è una sciocchezza. Nessuno sta a letto, nudo – due uomini, due donne o un uomo e una donna – se non ha deciso di fare sesso».
La dottoressa si preoccupa anche del fatto che complimenti innocenti rischino di essere stigmatizzati («Non puoi più dire a una donna che ti piace la sua camicetta») e, sebbene non sia tecnofobica, ritiene che gli smartphone possano erodere qualsiasi talento per la conversazione («Oggi entri in un ristorante e quello che vedi sono tutti con il telefono accanto, è terribile. Anziché concentrarsi sulla relazione, sui bisogni, sulle attività e sugli interessi dell’altra persona, guardano costantemente al loro telefono»).
Ultimo ma non meno importante, in occasione del Forbes Under 30 Summit Dr. Ruth ha dispensato i propri consigli pure ai giovani cofondatori di startup che le domandavano come gestire il difficile equilibrio tra affari e piacere. Il succo? Trascorrere molto tempo insieme offline e rimuovere potenziali distrazioni dalla camera da letto – dai telefoni cellulari agli animali domestici fino ai bambini – al fine di sfruttare al meglio i momenti di intimità e conquistare una lunga e appagante vita sessuale «che non dovrebbe affatto finire quando si raggiunge una certa età». E se lo dice lei, col suo accento tedesco, la sua immancabile ironia e gli occhi energicissimi nonostante le oltre novanta primavere, c’è da crederci.